Trasporto della Macchina di Santa Rosa – 3 Settembre

Il trasporto della Macchina di Santa Rosa è la festa viterbese per antonomasia, dedicata alla patrona Santa Rosa,vissuta nel XIII secolo,la cui memoria è rievocata dai viterbesi attraverso una manifestazione unica al mondo, esaltante, quasi indescrivibile per la sua bellezza, spettacolarità ed emozione.

Il trasporto della Macchina di Santa Rosa è patrimonio immateriale dell’Unesco con ufficializzazione avvenuta durante l’ottava sessione del comitato intergovernativo che si è svolto a Baku, in Azerbaigian.

La macchina di Santa Rosa consiste in una torre illuminata da fiaccole e luci elettriche, realizzata con una infrastruttura interna in metallo e materiali moderni quali ad esempio la vetroresina, alta circa trenta metri e pesante cinque tonnellate, che la sera del 3 settembre di ogni anno viene sollevata e portata a spalla da un centinaio di robusti uomini detti “Facchini” lungo un percorso di poco più di un chilometro, lungo le vie, talvolta molto strette, e le piazze del centro cittadino, tra ali di folla in delirio con l’animo sospeso tra emozione, gioia e anche un certo timore.

Ma ogni descrizione riportata sulla carta o in video è pressoché inutile in quanto nulla può rendere l’idea se non assistere dal vivo al trasporto della Macchina di Santa Rosa, sempre capace di suscitare sensazioni nuove seppur nella ripetitività dell’evento che si compie ogni anno.

Le origini della Macchina risalgono agli anni successivi al 1258, quando, per ricordare la traslazione del corpo di S. Rosa dalla Chiesa di S. Maria in Poggio al Santuario a lei dedicato, avvenuta il 4 settembre per volere del papa Alessandro IV, si volle ripetere quella processione trasportando un’immagine o una statua della Santa illuminata su un baldacchino, che assunse nei secoli dimensioni sempre più colossali. Il modello attuale (dal 2015) si chiama “Gloria“.

Il 3 settembre è una giornata tutta particolare per i viterbesi (ma anche per la moltitudine di turisti incuriositi che la manifestazione attira in massa ogni anno, in numero sempre maggiore), molti dei quali scendono in strada fin dalla mattina, ma lo è ancora di più per i facchini, gli “eroi per un giorno” che dal 1978 sono riuniti in sodalizio e si fregiano del titolo di Cavalieri di S. Rosa e che trasportano da sempre le varie “macchine”.

Dopo il pranzo i facchini, vestiti nella tradizionale divisa bianca con fascia rossa alla vita (il bianco simboleggia la purezza di spirito della patrona, il rosso i cardinali che nel 1258 traslarono il suo corpo), si recano in Comune dove ricevono i saluti delle autorità cittadine, poi vanno in visita a sette chiese del centro, infine in ritiro al convento dei cappuccini, dove il capofacchino impartisce loro le ultime indicazioni sul trasporto. Verso le 20, i Facchini preceduti da una banda musicale che intona il loro inno, partendo dal Santuario di Santa Rosa percorrono a ritroso il tragitto della Macchina, acclamati dalla folla, fino a raggiungere la Chiesa di S. Sisto, presso Porta Romana, accanto alla “mossa” (il punto da dove parte il trasporto della Macchina di Santa Rosa e dove viene assemblata nei giorni precedenti il trasporto).

Qui viene impartita loro dal vescovo la cosiddetta benedizione in articulo mortis, che religiosamente prepara i facchini ai sacrifici che dovranno affrontare eroicamente per traslare con la sola forza fisica e la fede l’immane peso della “Macchina di Santa Rosa” per oltre un chilometro.

I facchini si dividono in varie categorie in funzione della posizione che hanno e dei compiti che svolgono, ad esempio i “ciuffi” (dal caratteristico nome del copricapo in cuoio che protegge la nuca agli uomini posizionati nelle nove file interne direttamente sotto la macchina), le “spallette” e le “stanghette” (i facchini occupanti le file esterne, rispettivamente laterali e anteriori e posteriori), vanno a prendere posto sotto le travi alla base della Macchina ed ai fatidici ordini del capofacchino “Sotto col ciuffo e fermi!”, “Sollevate e fermi !” e quindi “Per Santa Rosa, avanti!” iniziano il difficile percorso.

Dopo cinque soste (nel 2017 saranno 7 soste), i facchini devono compiere il grande sforzo finale, percorrere una ripida via in salita che conduce al Santuario. Viene effettuata quasi a passo di corsa, con l’aiuto di corde anteriori in aggiunta e di travi dette “leve” che spingono posteriormente.

Quando la gigantesca torcia splendente è posata sui cavalletti di sostegno è stato compiuto un altro trasporto ed è il trionfo di un’intera Città di Viterbo. I volti dei facchini fino ad allora tesi e angosciati per la fatica del loro atto di devozione diventano sorridenti e commossi per la felicità. La Macchina di Santa Rosa rimane esposta per alcuni giorni successivi al 3 settembre, mentre l’urna dove è custodito il corpo della Patrona è visitata da migliaia di fedeli.

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